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Laltra Sicilia di Carlo Barbieri

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'L’altra Sicilia' di Carlo Barbieri

L’incontro è avvenuto ieri 21 Novembre a Roma. L’Inquirente Gaetano Savatteri (alias di se stesso) ha ‘sfrucugliato’ il Commissario Francesco Mancuso, (alias Carlo Barbieri), sul caso de “Il morto con la zebiba” (Todaro Editore - 2013) in un confronto pubblico cui hanno preso parte amici, lettori dei precedenti libri, curiosi, librai, giornalisti più curiosi degli altri. Lo scopo? Di scoprire non tanto come fossero andati i fatti di cronaca narrati, quanto invece l’identità dell’uomo con la zebiba. La zebiba?
Un tempo da lupi, con la pioggia che scrosciava fuori e l’abbassamento della temperatura, l’accogliente spazio della Libreria Pagina 348 (di Marco e Alessio Guerra) in Via Cesare Pavese, ha offerto un rifugio sicuro al meeting che possiamo ben definire ‘conviviale’, anche se non c’è stato il tè con i pasticcini perché l’orario era stato volutamente posticipato alle 06 p.m.. Meglio così, perché visto come vanno le cose italiane, in confronto non sarebbe stato poi così interessante e tutto sarebbe finito ‘a tarallucci e vino’. Il che non mi sembrava davvero il caso parlando di un ‘morto con la zebiba. La zebiba?
Devo però ricordare a chi non lo rammenta o che proprio non lo sa che il finale ‘a tarallucci e vino’ era parte integrante della tradizione arcaica dei ‘riti amatori per i defunti’; allorché si offriva a parenti e amici intervenuti un ‘rinfresco’ d’addio al defunto che talvolta diventava un vero e proprio banchetto a seconda delle possibilità economiche della famiglia o per onorare il lascito testamentario del defunto. Ora non saprei dire se il termine ‘rinfresco’ stesse per ‘a rinfrescare la memoria’ o cos’altro, anche perché tutti sapevano chi avevano accompagnato al cimitero con le solite trite frasi: “sono sempre i migliori che se ne vanno!”, “ah che persona meravigliosa era!”, “avete idea, un sant’uomo!”. Oppure se si officiava per placare la fame degli intervenuti dopo le ore passate al sevizio funebre e magari dopo aver affrontato un lungo viaggio. Qualcuno potrebbe dire che almeno in questo caso, tutte siffatte cerimonie non sarebbero state ‘politically corrected”, in quanto ‘fuori posto’, visto che il cadavere era quello di un emigrante musulmano ‘doc’, cioè con la zebiba. Con la zebiba?
Non è così, anzi, afferma l’autore del libro, a maggior ragione il ‘santo’ in questo caso è comprovato, vuoi per ‘la fede’ professata con vigore, e la zebiba lo dimostra pienamente; vuoi per il coraggio dimostrato nell’affrontare la drammatica realtà dell’emigrante che nel caso specifico qui si rappresenta: l’attraversamento del deserto e del tratto di mare su una barca fatiscente, ritrovarsi in un paese e una lingua che non conosce ecc. con tutti i rischi per la propria sopravvivenza che esso comporta; un doversi quasi scusare (mai vergognarsi) per la sua zebiba. Ancora con questa zebiba, ma cos’è?
Molto più di una fede corrisposta, è la ragione stessa di un modo di vivere in sintonia con la visione islamica da parte di ‘è devoto a Dio’, che si esprime anche con ‘salvare’ e ‘pacificare’, termini questi che vanno ricondotti agli insegnamenti del Corano e che, quindi, non hanno nulla a che vedere con il fondamentalismo islamico. Che andare per mare … Ed è forse di questo che in primis dovremmo parlare, propone Savatteri, di questo nostro mare che insieme avvolge e conchiude la Sicilia come fosse un’isola leggendaria in mezzo ‘agli orizzonti’, micro/macro cosmo e crocevia delle diverse ‘culture’ del Mediterraneo, che tutte le raccoglie e le trasforma in quella che è la ‘cultura’ specifica della Sicilia vista dai Siciliani. Anche loro ‘doc’ e dai nomi altisonanti come: Tomasi di Lampedusa, Pirandello, Sciascia, Camilleri e moltissimi altri, dall’una all’altre sponde con nomi diversi secondo le diverse origini: turco-greche, fenicio-arabe, germano-liguri, ispano-portoghesi anche se non hanno la zebiba. La zebiba?
Quei ‘Siciliani’ con la ‘S’ maiuscola che Savatteri, nel chiedere all’autore Carlo Barbieri, come si racconta un popolo attraverso la letteratura (?), ha voluto rinverdire il suo “I siciliani” (Laterza 2006), spostando il discorso su un aspetto della Sicilia che troppo spesso in letteratura è tralasciato e che invece rappresenta la base da cui partire sia per il ricercatore, sia per il lettore attento. Non di meno per il lettore di ‘gialli’ come nel caso di questo “Il morto con la zebiba” appena uscito in libreria che è già un caso letterario per le diverse ragioni che pure in esso sono contenute. E sono quelle stesse ragioni che Savatteri si deve esser chiesto a suo tempo, e che ora spingono l’autore di questo ‘serial thriller’, dal quale ci aspettiamo altri colpi di scena e azioni poliziesche da soddisfare la nostra curiosità ma, ed anche, un surplus di modi di dire e curiosità diverse da vero conoscitore della realtà siciliana.
Infatti, alla domanda di Savatteri, che si sviluppava in “Come si fa ... a comporre il fastoso mosaico di una regione densa di contraddizioni. Eccentrici aristocratici, madri tenaci, inossidabili potenti, donne tormentate, feroci assassini: vite e imprese che si mescolano in un viaggio curioso nel tempo e nei luoghi della terra di Sicilia, uno spazio "ad alta intensità letteraria", dove la pianta dell'uomo attecchisce nelle sue forme più limpide o barocche?!”, Carlo Barbieri risponde con semplicità di indagatore del quotidiano, della realtà della cronaca vissuta in prima persona: “..con la complicità di chi ha tante ‘minime’ storie da raccontare che comprendono un arco di vita (la propria vita di siciliano e ‘palermitano’) che va da ieri a oggi,  richiamate alla ribalta dal Commissario Mancuso frutto della sua creatività scrittoria e dall’estro della sua penna sciolta e loquace.
Ma più che la penna è il suo bagaglio personale a incuriosire l’assemblea degli uditori, è allora che Carlo Barbieri da sfoggio della sua esperienza di viaggiatore e allora racconta del Cairo, di Teheran, di Istanbul, si sofferma sui paralleli che, in qualche modo, appaiano la sua Palermo con quelle città, quasi da essere un’estensione della stessa, coi suoi introiti bizantini, greci, arabi e barocco-continentali, degli odori che tutte le accomuna, dei dolci e delle friggitorie, e delle leccornie del pescato, di cui l’autore si è certamente nutrito, o almeno ne parla elencandole, tali dall’essere paragonabili a quelle di un Gargantua e di un Nero Wolfe.
Pur tuttavia, lungi dall’essere ne l’uno, né l’altro, il palermitano ‘doc’ Mancuso è sì un Commissario per molti versi vicino al personaggio di Camilleri (siciliano, che fa uso di neologismi dialettali, che s’impone una ‘verginità’ più ideale che professata, ligio al dovere ecc.), ha poi tutti i difetti del siciliano riguardo la gelosia, la diffidenza, il sospetto; che si lascia trascinare in ‘circoli’ che farebbe volentieri a meno di frequentare e che inevitabilmente sono, in certo qual modo, legati alla criminalità cui va a sbattere forzatamente contro. L’unico modo se vogliamo per essere partecipe della quotidianità, onde ricavare le ‘soffiate’ ed essere informato sui fatti, e che, al tempo stesso rifugge, da buono scapolo qual è suo malgrado, un legame duraturo, pur ‘sostenendo’ la sua pretesa di possesso sulle donne, che lo amano e lo rifiutano allo stesso tempo.
Un 'altra' Sicilia dunque quella di Carlo Barbieri, nuova e pur sempre antica, tuttavia diversa da quella che ritroviamo fra le pagine di Camilleri, e che alla domanda dell'intervenuto di fare un parallelo con l'altro Commissario famoso, quel Montalbano televisivo pure di grande successo, la risposta dell'autore è breve e istantanea: "..Montalbano è Commissario di provincia molto ristretta e usa un dialetto desueto che è quello dei suoi ricordi, mentre Mancuso è Commissario di città, di più, di una città che fa la differenza, quella Palermo internazionale e cosmopolita vista, letta e vissuta in tutte le sue contraddizioni e ambiguità, ma anche nei suoi pregevoli e sofisticati intendimenti.
Mi scusi, e la zebiba?
“Mancuso assunse l’espressione di quando il professore di lettere gli chiedeva un esempio di perifrastica passiva. – Aveva la Zebiba? E che cos’è la zebiba?” La zebiba, ci spiega l’autore del ‘giallo’ è un segno che hanno sulla fronte i musulmani più devoti, che viene loro a forza di battere leggermente la fronte sul tappeto durante le cinque preghiere quotidiane. Un musulmano con la zebiba è certamente un buon musulmano, e quindi uno che non beve alcool. Cosa che fa la differenza, perché un vero musulmano con la zebiba nel modo più assoluto non beve, tantomeno si ubriaca. Al contrario il morto spiaggiato a Granitola era fortemente ubriaco, e quindi trattasi di omicidio. E questa volta le indagini, che partono dal ritrovamento del cadavere di quella che sembra una delle tante vittime degli sbarchi sulle nostre coste, porteranno Mancuso a scoprire un piano criminoso internazionale.
“Il morto con la zebiba” è il terzo caso del commissario Mancuso della Omicidi di Palermo, che segue a "Pilipintò" (una short story all’interno di una silloge edito da Youcanprint in seconda edizione 2013) dove s’affaccia per la prima volta la figura del Commissario Mancuso, e "La pietra al collo" (Todaro Editore 2012) suo primo ‘thriller’. Un autentico caso poliziesco in cui appaiono in nuce quelle che saranno le tematiche ‘realistiche’ che danno agli scritti di Barbieri la dimensione e direi la profondità del vero ‘giallo’ che possiamo definire all’italiana. Non ci rimane che leggere il libro dall’inizio con quella stessa voracità che solitamente riserviamo alle ultime pagine per conoscere come la storia va a finire. Comunque il caso è in ottime mani, il commissario Mancuso indaga e questo ‘giallo’ ha una sua sorprendente conclusione.

Carlo Barbieri, chimico e marketer pentito, ha vissuto a Palermo, Catania, Teheran, Il Cairo. Oggi vive e lavora fra Roma e Palermo senza riuscire a decidersi per l’una o l’altra città, perché ama Roma ma ha Palermo nel cuore, ma …
Nel 2012 ha pubblicato per la Todaro Editore “La pietra al collo”, ristampato all’inizio del 2013.


 

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